Uno stimolo e uno strumento più flessibile dalla Corte Costituzionale al ricorso per i debitori colpiti dalla pandemia alle procedure di composizione della crisi previste dalla Legge n. 3/2012
Uno stimolo e uno strumento più flessibile dalla Corte Costituzionale al ricorso per i debitori colpiti dalla pandemia alle procedure di composizione della crisi previste dalla Legge n. 3/2012 (“Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”), detta anche Legge “Salva suicidi”. Con la sentenza n. 61 del 8 aprile 2021, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso pregiudiziale contro l’art. 14-quater della Legge n. 3/2012, promosso dal Tribunale ordinario di Lanciano, con cui il Giudice aveva censurato la mancata previsione, per i debitori che si siano visti rifiutare l’accordo dalla maggioranza qualificata dei creditori, della possibilità almeno di convertire la procedura di accordo di composizione della crisi in quella di liquidazione del proprio patrimonio. Il Tribunale riteneva, infatti, ingiusta e incostituzionale la differenza prevista dalla normativa, che invece consente la conversione ai debitori che, dopo l’omologa dell’accordo, colposamente o dolosamente, non lo abbiano rispettato, provocandone l’annullamento, la risoluzione, la revoca o la cessazione di diritto degli effetti, privando così di una maggiore tutela le posizioni di maggior disagio sociale. La proverbiale scialuppa di salvataggio, al contrario, viene dalla Corte Costituzionale trovata in un più accorto, orientato e flessibile utilizzo delle norme procedurali in vigore, come correttamente interpretate dalla giurisprudenza, in primo luogo facendo ricorso alle norme del cd “rito camerale” degli articoli 737 e seguenti del Codice di Procedura Civile. Attraverso il rito camerale, per definizione privo di “formalismi non essenziali”, perché destinato a venire incontro alle “esigenze di speditezza e semplificazione”, nonché libero dalle preclusioni del rito ordinario, come già ribadito dalla Cassazione, il Giudice di merito potrebbe tranquillamente accogliere le richieste di conversione della procedura a beneficio dei debitori che si siano visti rifiutare la proposta di accordo di composizione della crisi che, come si ricorda, deve essere approvata dalla maggioranza qualificata dei creditori, pari almeno al sessanta per cento dei crediti. In altro modo, fa notare la sentenza costituzionale, sempre applicando i principi sanciti dalle Sezioni Unite della Cassazione con la nota sentenza 15 giugno 2015, n. 12310, anche le preclusioni del processo ordinario sono comunque attenuate, potendo la parte, in questo caso il debitore, ben modificare entrambi gli elementi identificativi della domanda, da un punto di vista oggettivo, i cd “petitum” e “causa petendi”, così riqualificando l’iniziale domanda di accordo in quella di liquidazione, ricorrendone ovviamente i requisiti e la relativa documentazione, peraltro in gran parte sovrapponibili tra le due procedure di composizione della crisi e in ogni caso già valutati dal Giudice al momento del giudizio di ammissibilità della proposta di accordo. Per avere informazioni sulle procedure di composizione della crisi e il sovraindebitamento, un appuntamento in presenza o mediante videochiamata CONTATTACI